FU UN SACRIFICIO

Mercoledì 9 maggio, alle ore 19, ci sarà nella chiesa romana di san Gregorio al Celio una Messa nel quarantesimo anniversario della morte cruenta di Aldo Moro, “questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”, come lo definì la Chiesa nell’omelia funebre del papa di allora.
Questa è una notizia utile a chi potrà partecipare alla celebrazione. Ma è notizia anche che si faccia memoria di Moro in un evento ecclesiale e non in un contesto politico, o mediatico, o investigativo, come accade per lo più oggi quando “il caso Moro” viene rievocato come se si fosse trattato solo di una vicenda politica da storici o da iniziati, o di una trama di 007 e di Servizi Segreti buona per giallisti o dietrologi. L’evento ecclesiale, che si compie nel sacrificio della Messa, dice che in quella apicale vicenda della storia italiana del Novecento fu in gioco qualcosa di più grande e durevole, in cui tutta la società fu implicata, e anche eminenti uomini di Chiesa, come è facile ricordare solo che si pensi alla supplica di Paolo VI agli uomini delle Brigate Rosse o all’offerta di consegnarsi al posto di Moro, come vittime sostitutive, di vescovi come Luigi Bettazzi, Clemente Riva e Alberto Ablondi, o alla liturgia alternativa celebrata dopo la morte con la famiglia Moro da preti come Italo Mancini e Padre David Maria Turoldo.
Ciò che fu in gioco in quei 55 giorni sul piano politico fu che l’Italia potesse avere un suo ruolo specifico per imprimere una svolta positiva alla storia d’Europa e del mondo che stava per uscire dalla guerra fredda verso l’alternativa tra l’avvio di un mondo pacifico e nuovo o la ricaduta nella violenza predatrice del vecchio (ciò che poi in effetti avvenne).  Cessò di battere con la liquidazione di Moro il cuore vivo della democrazia italiana, cessò l’ipotesi di una politica capace di grandi disegni e meritevole di grandi dedizioni. È avvilente oggi guardare all’arco di questi quarant’anni, a partire dalle lettere di Moro piene di pensiero e severe giudici del potere, scritte dal buio di una segregazione ma cariche di un progetto di futuro, per giungere fino alle vanterie  di un suo lontano successore prive di pensiero e avide di potere, proferite alle luci di un varietà televisivo e distruttrici di ogni progetto utile a rendere possibile un futuro.
Ma al di là della tragedia politica, ciò che fu in gioco nella vicenda Moro fu la riproposizione della falsa ideologia del sacrificio, veleno e farmaco, su cui fin dall’antico furono fondate culture, istituzioni, ragion di Stato e guerre e che sembrava, con la Pasqua cristiana e con il ripudio costituzionale della violenza e della guerra, licenziata per sempre. Tanto meno essa doveva essere riprodotta in un Paese cattolico governato da un partito cristiano. Invece fu subito abbracciata (senza nemmeno deliberazione del Consiglio dei ministri!) l’idea, detta “fermezza”, che la vita di Moro valesse la salvezza della Repubblica: meglio che tredici brigatisti restassero in carcere (tale era il prezzo dello scambio) piuttosto che fosse fatta salva la vita e la prospettiva politica di Moro; meglio che “un uomo solo muoia per tutto il popolo”, come aveva detto Caifa e come fu di nuovo convenuto allora. Perciò scrisse Moro in una delle sue lettere, cancellate dal potere come “non sue”: “muoio, se così desidera il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’alto dei cieli”. E lo stesso Cossiga, ministro dell’Interno del tempo, ammise vent’anni dopo, declinando “per coerenza” l’invito a partecipare in Parlamento a una commemorazione dello statista ucciso, che la decisione politica presa dal governo inevitabilmente avrebbe portato all’uccisione di Aldo Moro, ciò di cui  egli era stato “drammaticamente consapevole”.
La pretesa salvifica del sacrificio sta nel concentrare su una vittima, personale o collettiva,  isolata dall’insieme sociale, tutta la violenza, in modo che la sua soppressione venga identificata da tutti col venir meno del male sociale di cui essa è considerata colpevole o causa, così che la violenza sia placata e la società ritrovi sicurezza. Ma perché il meccanismo sacrificale  funzioni occorre che non sia svelato, che non se ne denunci l’arbitrarietà, che la vittima sia in qualche modo consenziente ammettendo la sua colpa. Ma quando l’innocente grida la sua innocenza e invoca la verità, il meccanismo si rompe. La posta in gioco in quei 55 giorni, largamente complice la stampa, fu il formarsi di questa unanimità di consenso, che trovò il suo ostacolo maggiore proprio nella resistenza della vittima che lottò, non per sé ma per tutti, rivendicando la sua innocenza e mostrando con altissima dottrina una via politica di uscita non violenta dalla crisi. Così egli ruppe il congegno vittimario e ne impedì l’esaltazione mistificatrice. Il sacrificio infatti non salva nessuno e finisce per perdere gli stessi sacrificatori, come è dimostrato dagli esiti di tutte le guerre e degli altri olocausti.
Non a caso dei partiti che furono gli autori delle fermissime scelte di allora non ne è rimasto neppur uno. Se invece è rimasta una memoria che è promessa di vita, è proprio la strenua lezione di Moro, politica e pubblica, che nega il valore salvifico della violenza e rivendica l’inesauribile possibilità della politica e del diritto.

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RINVIARE LE RIFORME – IL REFERENDUM NON È UNA RIVINCITA

I Comitati Dossetti per la Costituzione, visti i risultati delle elezioni amministrative in cui si sono variamente intrecciati un voto sui sindaci, un voto sul governo e un voto sulla Costituzione impropriamente chiamata in causa in ragione della sua riforma, esprimono un vivo allarme sul pericolo che il referendum costituzionale sia ora presentato e vissuto come una rivincita rispetto alla sconfitta di oggi, ciò che aggraverebbe la spaccatura del Paese e fomenterebbe il discredito della Costituzione, ridotta a trofeo della lotta per il potere. I Comitati rinnovano la richiesta già formulata il 10 gennaio 2015 e resa nota al presidente Mattarella, di un rinvio delle riforme costituzionali alla prossima legislatura, nella quale su punti specifici relativi al funzionamento dell’ordinamento vigente potranno essere introdotti opportuni emendamenti costituzionali. Il governo pertanto dovrebbe  dichiarare la propria neutralità nel referendum oppositivo che sarà indetto ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, garantire in ogni tempo la piena e pari espressione anche delle ragioni contrarie alla riforma e predisporre una nuova legge elettorale, a Costituzione vigente, valida per le elezioni di ambedue le Camere e non gravata da vizi di costituzionalità come quelli già oggetto di pronunzie della Corte.

I Comitati per la Costituzione ricordano ciò che scriveva Giuseppe Dossetti in una analoga occasione di revisione costituzionale nel 1996, quando definiva “una contorsione violenta dell’urgente più urgente”, che si facesse ruotare per settimane intere tutto il dibattito politico intorno a problemi istituzionali, invece che sulla “soluzione politica di problemi attualissimi e preliminari, come l’avvio più deciso del risanamento delle finanze pubbliche, la crescente emergenza occupazionale soprattutto giovanile, la soluzione di certi nodi del tutto vitali del meridione, le regole per una disciplina antitrust e per una informazione pubblica oggettiva e paritaria”. I Comitati Dossetti per la Costituzione ricordano altresì il giudizio dell’Associazione fondata da Giuseppe Lazzati, secondo la quale la proposta riforma della Carta del ‘48 contiene “diversi errori di grammatica e di sintassi costituzionale”, e quello di chi ritiene che l’attuale riforma “non giovi alla Costituzione” e che “i problemi politici dell’Italia non si risolvono con una ingegneria istituzionale che tende a ridurre il pluralismo e a sacrificare il principio di rappresentanza”.

Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli, Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Nicola Colaianni, Francesco di Matteo, Mario Dogliani, Domenico Gallo, Valerio Onida, Umberto Romagnoli, Massimo Villone.

21 giugno 2016

 

La Costituzione Carlo Magno e un Senato dei popoli

 Discorso di Raniero La Valle per il referendum costituzionale a Perugia il 10 giugno 2016, in un incontro promosso da: Comitato Nazionale Socialista per il No, Comitato dei Socialisti Umbri per il No, Coordinamento per la Democrazia costituzionale, Comitato dei Cattolici del No.

           Questo incontro di Perugia “per il No allo stravolgimento della Costituzione” riunisce,  in diversi Comitati,  socialisti, cattolici, democratici, ex comunisti, partigiani, sindacalisti e dunque riproduce lo spirito stesso della Costituzione che nacque nel ’47 da un incontro di tante libertà diverse, unitesi per generare un popolo alla libertà.

          È proprio questo pluralismo che ora è sotto accusa. Nel nuovo linguaggio fiorentino esso è definito “un’ammucchiata”; ed è questa ammucchiata  che la nuova  Costituzione insieme all’Italicum, avrebbe lo scopo di impedire, come ha detto Renzi  parlando ai Coltivatori diretti a Milano, prima della sconfitta e ha ripetuto poi a La 7 e in ogni altra occasione, dopo la sconfitta.   In questa propaganda del SI si sente tutto il fascino della legge Acerbo, del listone, degli editti bulgari, si sente l’orrore del politicamente diverso. L’idea è che ogni cinque anni, di lustro in lustro, un solo partito deve governare, un solo partito deve dominare il Parlamento, fare le leggi, scrivere la Costituzione, controllare i poteri, un solo partito deve invadere la televisione, decidere le guerre da fare; e siccome c’è la democrazia dopo cinque anni può forse venirne un altro, ma sempre da solo.

E questa è anche la vera ragione della cancellazione del Senato. La ragione è che il permanere del Senato costringerebbe chi comanda a dialogare con altre forze ideali e politiche, perché se questo confronto – grazie a una maggioranza schiacciante – lo si può  evitare alla Camera, non lo si può evitare anche al Senato. Uno può fare una legge Acerbo, può fare una legge truffa, può fare un Italicum per una Camera, ma non lo può fare per tutte e due; allora è meglio abolire una Camera, è meglio invece di avere una democrazia intera avere una democrazia dimezzata, invece di avere una democrazia abbondante, cioè ricca delle idee, delle speranze e dei bisogni di tutti i cittadini, come volevano fare i costituenti del 47, avere una democrazia ridotta, una democrazia sfoltita. Ma il pluralismo, il dialogo, l’incontro tra forze diverse è il senso stesso della democrazia, è la condizione perché si faccia non il bene privato di qualcuno, ma si faccia il bene comune. Invece il pensiero che c’è dietro questa riforma è un pensiero nettamente reazionario: chi ha il potere lo deve avere da solo, non può perdere tempo a confrontarsi e a discutere con gli altri, fossero pure i membri del suo stesso partito: con quelli, ha detto Renzi ci vuole il lanciafiamme. Continua a leggere

Il discorso che Obama avrebbe dovuto fare a Hiroshima

Barack Obama è stato il primo Presidente degli Stati Uniti a visitare Hiroshima, più di 70 anni dopo lo sgancio, da parte del bombardiere B-29 americano “Enola Gay”, di una bomba atomica da 10.000 libbre, chiamata “Ragazzino”, su una città che aveva un’importanza strategica minore di quella che ha Tampa per gli Stati Uniti. Più di 70.000 persone furono uccise all’istante e praticamente tutta la città venne rasa al suolo.Molti sopravvissuti avrebbero poi sofferto per i prolungati ed incredibilmente dolorosi postumi da radiazione, che sarebbero costati la vita ad almeno altre 100.000 persone. Gli effetti delle radiazioni avrebbero continuato a nuocere alla popolazione per anni e addirittura decenni dopo l’esplosione iniziale.Obama è salito su un podio, con alle spalle l’epicentro dello scoppio, il Genbaku Domu e ha detto di “essere venuto per commemorare i morti”. Mentre Obama era intento a commemorare, c’è stata una cosa che non ha fatto: scusarsi.Ha detto che “la morte scese dal cielo”. Nessuna spiegazione del perchè. O di chi ne fosse responsabile, come se si fosse trattato di una catastrofe naturale, piuttosto che di un crimine perpetrato da persone in carne ed ossa. Obama si è dimostrato riluttante o incapace di affrontare la verità e chiedere scusa.Ecco che cosa avrebbe potuto dire per cercare di farlo:Settantuno anni fa, in una mattina limpida e senza nuvole un bombardiere americano scatenò la più orribile ed inumana delle armi mai inventate, mettendo immediatamente a repentaglio la sopravvivenza dell’intera specie umana. Questo atto di terrorismo è stato il crimine ultimo: un omicidio di massa, un crimine di guerra ed un crimine contro l’umanitàLe vittime, quelle che sono morte incenerite in un lampo, e quelle che sono morte lentamente e con dolore, avvelenate dalle radiazioni nel corso degli anni, non hanno mai visto trionfare la giustizia. Purtroppo, non esiste modo per far si che i criminali che hanno portato a termine questo atroce e barbaro atto debbano mai affrontare la giustizia per i crimini da loro commessi.Io non posso cambiare questo stato delle cose. Continua a leggere

30 RAGIONI PER DIRE NO

ALLE RIFORME DELLA COSTITUZIONE E LEGGE ELETTORALE ITALICUM

 A cura di Massimo Villone, Domenico Gallo e Alfiero Grandi.

1. Perché raccogliere le firme, se il referendum è stato già chiesto dai parlamentari?

Non si può lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della Costituzione, facendone un plebiscito Renzi sì-Renzi no. La richiesta dei cittadini corregge la torsione plebiscitaria, inaccettabile perché impedisce la discussione di merito su una modifica pessima e stravolgente, che va respinta a prescindere dalla sorte del governo.

2. Ma anche Renzi ha avviato la raccolta delle firme.

Lo ha fatto non per amore di democrazia, ma solo perché i sondaggi hanno dimostrato che la via del plebiscito personale era per lui pericolosa. È anche un tentativo di scippare la bandiera della raccolta firme ai sostenitori del no. Tutto deve essere nel nome del governo.

3. Finalmente si riesce dove tutti avevano fallito.

È decisivo il come. Un Parlamento illegittimo per l’incostituzionalità della legge elettorale, e una maggioranza raccogliticcia e occasionale, col sostegno decisivo dei voltagabbana, stravolgono la Costituzione nata dalla Resistenza. L’irrisione e gli insulti rivolti agli avversari vogliono nascondere l’incapacità di rispondere alle critiche. Continua a leggere

Popolo Costituzione e rivoluzione

Discorso tenuto a Brescia il 6 maggio 2016 per l’apertura della campagna sul referendum

 Raniero La Valle

Per partire, come sempre si deve fare, dal contesto in cui si svolge questo evento, possiamo citare una notizia meravigliosa che si trova sui giornali di oggi: a Palmira, l’antica città romana in Siria appena liberata dall’ISIS, l’Orchestra di San Pietroburgo ha tenuto un concerto con musiche di Bach e di Prokofiev nell’anfiteatro romano che era stato fino a ieri la sede di feroci esecuzioni. Questo vuol dire che la distruzione non è per sempre. Questo vale anche per la Costituzione: se anche riusciranno ora a distruggerla, essa rinascerà, l’Italia non sarà senza Costituzione, non perderà il patrimonio ormai acquisito del costituzionalismo democratico.

Popolo

 Nel merito dell’incontro di stasera, devo dire che, nonostante qualche difficoltà sono venuto a Brescia per l’apertura di questa campagna sul referendum costituzionale, per una ragione precisa: per parlare della Costituzione nel nome di un mio amico bresciano, l’amico più caro che ho avuto nella mia vita, Franco Salvi, che alla Costituzione, alla Repubblica, al bene comune ha consacrato tutta la sua vita. Franco Salvi sognava la Costituzione quando faceva il partigiano: in seguito lui non ha mai  parlato della sua esperienza di lotta armata, né nel periodo della sua militanza nella FUCI, né nel periodo della sua vita politica, nella quale è stato il più stretto collaboratore di Aldo Moro, dalla cui morte fu alla fine letteralmente straziato; cattolico e non violento, Franco Salvi, schivo e riservato com’era, non si è mai gloriato di aver combattuto con le Fiamme Verdi: io conservo – ma credo di essere uno dei pochi – una sua rarissima fotografia da partigiano con il fucile in mano. Continua a leggere