PARTE LA CAMPAGNA PER IL NO NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE E PER IL SI’ NEL REFERENDUM CONTRO L’ITALICUM

L’11 gennaio la Camera ha completato l’approvazione in prima lettura del nuovo testo della Costituzione repubblicana come pretende modificarla il progetto Renzi-Boschi.

Il voto è avvenuto senza il raggiungimento dei 2/3 dei deputati, che sarebbe necessario per impedire il ricorso al referendum popolare per respingere la riforma. Questo vuol dire che se anche, com’è prevedibile, nella seconda lettura alla Camera o al Senato non saranno raggiunti i 2/3 il referendum non potrà in alcun modo essere evitato. Questa è la ragione per cui il segretario del PD e presidente del Consiglio Matteo Renzi intende trasformarlo in un plebiscito avente un diverso oggetto, vale a dire non la difesa o la sovversione della Costituzione, ma la vittoria o la sconfitta della sua leadership e del suo governo. Il Comitato per il NO nel referendum ha già ottenuto l’adesione dei parlamentari necessari perché il referendum possa essere richiesto un minuto dopo l’approvazione della nuova Costituzione in seconda lettura. Nello stesso momento in cui la Camera completava la prima lettura con 367 sì, 194 no e 5 astenuti, il Coordinamento Democrazia Costituzionale teneva nell’aula dei gruppi di Montecitorio un’assemblea nazionale nella quale venivano illustrate le ragioni dell’opposizione allo stravolgimento della Costituzione nonché dell’opposizione alla legge elettorale Italicum che insieme alla nuova Costituzione produrrebbe l’uscita dell’Italia dalla democrazia rappresentativa.

L’assemblea del Coordinamento è stata presieduta da Domenico Gallo e Alfiero Grandi e ha ascoltato tra l’altro relazioni di Alessandro Pace, di Gaetano Azzariti, di Lorenza Carlassare, di Massimo Villone e interventi di Felice Besostri, di Gianni Ferrara e Carlo Smuraglia. Il prof. Zagrebelsky trattenuto da un’indisposizione ha inviato la relazione che qui di seguito pubblichiamo.

La copertura mediatica dell’evento è stata come al solito scorretta. Mentre tutti i giornali hanno dato ampio risalto all’approvazione della riforma governativa, molto parzialmente, o per nulla, è stato dato conto dell’iniziativa già partita per la reiezione popolare del progetto. In particolare la sera nella trasmissione Linea Notte di Rai3, mentre è stata data la notizia che il ministro pro tempore Boschi ha ribadito che la sconfitta del SI’ nel referendum comporterà la “sottoposizione del governo al rinnovato voto degli italiani”,  mentre non è stata data alcuna notizia dell’iniziativa referendaria, sono stati interrogati i giornalisti Lucia Annunziata e Ferruccio De Bortoli, i quali entrambi hanno dichiarato che sulle “riforme” costituzionali non c’è storia, che a Renzi piace vincere facile, perchè “è evidente che vincerà il SI’ “ (Annunziata) e perchè il fronte del NO “oltre che composito, è contrastato e non ha le idee chiare” (De Bortoli).  Solo Antonio Padellaro, terzo giornalista presente in studio, ha richiamato la gravità del combinato disposto del Disegno di Legge Costituzionale e dell’Italicum.

La battaglia è pertanto appena iniziata. I Comitati Dossetti per la Costituzione, e tutti gli altri soggetti politici, culturali e religiosi che intendono salvaguardare i principi supremi della Costituzione Italiana e la coerenza ad essi dell’ordinamento repubblicano, saranno d’ora in avanti, e fino all’esito del referendum, in prima linea per far conoscere al più largo elettorato i veri contenuti della sfida in corso, e per motivare i cittadini a essere i difensori in ultima istanza delle conquiste democratiche che l’Italia ha già pagato con un alto prezzo di intelligenza politica, di dolore e di sangue.

 

LA POSTA IN GIOCO

di GUSTAVO ZAGREBELSKY

Democrazia e lavoro sono le radici della nostra Costituzione del 1948. Una cosa è cambiare, un’altra è il come cambiare. Il superamento del bicameralismo perfetto è largamente condiviso, ma siamo di fronte a un testo incomprensibile e al ritorno a condizioni pre-costituzionali.
Coloro che, la riforma costituzionale, la vedono gravida di conseguenze negative non si aggrappano alla Costituzione perché è “la più bella del mondo”. Sono gli zelatori della riforma che usano quell’espressione per farli sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco.

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Riforme, ddl Boschi: quarto ok alla Camera. Nasce il comitato del no: “Evitiamo la fine della Repubblica”

da il Fatto Quotidiano

A Montecitorio via libera alla quarta lettura della legge Boschi che riscrive la Costituzione e abolisce il Senato. Costituzionalisti e società civile impegnati nella campagna referendaria. M5S: “Pd manipolo di analfabeti”. Forza Italia: “Aiuteremo i referendari”

La Camera ha approvato il disegno di legge sulle riforme istituzionali con 367 voti a favore. E’ il quarto via libera: il testo ora tornerà al Senato e ad aprile ancora a Montecitorio, dove sarà votato, senza possibilità di modifiche, nel suo complesso. A ottobre la riforma costituzionale sarà sottoposta areferendum confermativo. In Aula nessun colpo di scena: hanno votato a favore tutti i partiti della maggioranza di governo, hanno votato contro tutti i partiti di opposizione (i no sono stati 194). Il Movimento Cinque Stelle, durante le dichiarazioni di voto, ha esposto dei cartelli tricolore. Pippo Civati ha parlato di un governo “Calamandrei ma non posso”, la Lega Nord ha definito il disegno di legge “patetico e pieno di renzismo”, mentre Forza Italia ha addirittura giurato il proprio impegno nei comitati del no in vista del referendum. Danilo Toninelli (M5s) ha dato degli analfabeti ai parlamentari del Pd, Matteo Orfini ha rinfacciato a Mariastella Gelmini che fuori dalle ipocrisie è la riforma che Fi condivide. Il ministro Maria Elena Boschi appare tranquilla: “Facciamo un passo alla volta. Chi raccoglie le firme dà per scontata l’approvazione del ddl sulle riforme: ma ora è all’esame dell’aula. Facciamo un passo alla volta…”.Pubblicità

Nelle stesse ore è iniziata di fatto la campagna referendaria del no. In una stanza di Montecitorio si sono riuniti giuristi e costituzionalisti, ma anche parlamentari che hanno spiegato perché va respinto il progetto di riforma costituzionale che il Parlamento approverà, salvo colpi di scena, entro aprile. All’appello hanno aderito anche alcune forze politiche. “Oggi il comitato per il no comincia il suo percorso pedagogico” per evitare “che il 2016 consacri la fine della Repubblica nata 70 anni fa” ha detto il giurista Domenico Gallo. Presente, al completo, Sinistra italiana che aderirà formalmente al comitato. Presente anche Pippo Civati del movimento Possibile ed il M5s che, con Danilo Toninelli, assicura il proprio “appoggio” per votare no. “La cattiva novella del 2016″ spiega Gallo, è che potrebbe verificarsi “la consacrazione del principato renziano. Qui non si fa una revisione della Costituzione ma si adotta il suo superamento”. Per Gallo, tuttavia, il comitato del no si riunisce “non per piangere sulla Repubblica tradita ma per dire che la fine della Repubblica non è per niente scontata”. Con la presenza di Possibile “abbiamo la certezza che almeno 126 deputati chiederanno il referendum” ha aggiunto Alfiero Grandi, co-presidente del comitato, riferendosi alla quota necessaria di parlamentari per chiedere il referendum.

All’introduzione di Gallo sono seguiti gli interventi di diversi giuristi, da Alessandro Pace, presidente del comitato per il no, a Stefano Rodotà. Presenti, tra i costituzionalisti, anche l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick e Lorenza Carlassare. E il sostegno al comitato arriva anche dalla Fiom presente al “battesimo” di oggi con il segretario Maurizio Landini. Mentre Toninelli assicura l’appoggio del M5s precisando però che il Movimento “non vi aderirà formalmente” perché la battaglia contro le riforme deve essere “trasversale”. Ma, ribadisce il responsabile delle riforme pentastellato, “saremo nelle piazze per dire di votare no, il nostro obiettivo è votare no”.

 

DALLO STATO DI DIRITTO ALLO STATO DI SICUREZZA

di Giorgio Agamben – 10/01/2016

Fonte: Comedonchisciotte

Secondo il filosofo italiano Giorgio Agamben, lo stato di emergenza non è uno scudo a difesa della democrazia. Al contrario, ha sempre annunciato le dittature.

Non è possibile capire l’obiettivo reale della proroga dello stato di emergenza in Francia [prorogato fino alla fine di febbraio] se non la si colloca nel contesto di una radicale trasformazione del modello statale che ci è più familiare.

Bisogna prima di tutto smentire quel che dicono donne e uomini politici irresponsabili, secondo i quali lo stato di emergenza sarebbe uno strumento a difesa della democrazia.

Gli storici sanno bene che è vero il contrario. Lo stato di emergenza è infatti il dispositivo attraverso il quale i regimi totalitari si affermarono in Europa. Negli anni che precedettero la salita al potere di Hitler, ad esempio, i governi socialdemocratici di Weimar avevano fatto un tale ricorso allo stato di emergenza (o stato di eccezione, come dicono i tedeschi) che è lecito dire che la Germania aveva smesso di essere una democrazia parlamentare già prima del 1933.

Il primo atto politico di Hitler, dopo la sua nomina, fu proclamare lo stato di emergenza, che da allora in poi non fu mai più revocato. Quando ci si stupisce del fatto che in Germania i nazisti abbiano commesso impunemente così tanti crimini, si dimentica che quelle azioni erano perfettamente legali, poiché il paese era sottoposto allo stato di emergenza e poiché le libertà individuali erano sospese.

Non c’è motivo di escludere che uno scenario analogo possa ripetersi in Francia: non è difficile immaginare un governo di estrema destra mentre si serve di uno stato di emergenza al quale i cittadini sono stati assuefatti dai governi socialisti. In un paese che vive in uno stato di emergenza continuo e nel quale le operazioni di polizia sostituiscono progressivamente il potere giudiziario, è lecito attendersi una dissoluzione rapida e irreversibile delle istituzioni pubbliche. Continua a leggere